Recensioni di libri

La valle dei fiori

La valle dei fiori di Niviaq Korneliussen (traduzione di Francesca Turri)
Iperborea • romanzo contemporaneo • letteratura nordica • LGBTQIA+
320 pagine
Letto su: brossura • preso da biblioteche

Voto lettura: 4 stelline
Acidità della lettrice: note amare di un caffè un po’ bruciato
Lo consiglierei a: chi ama le voci fuori dal coro, da Paesi poco trattati dalla letteratura o che legge storie realistiche e crude, con una nota di umorismo ma comunque molto dure
Lo sconsiglierei a chi: può avere dei frigger negativi dalla narrazione sulla depressione e sul suicidio, chi non ama le storie sui problemi sociali.

La trama

Primo romanzo groenlandese a vincere il Premio del Consiglio Nordico, un’opera di potente poesia che va dritto al cuore del dibattito odierno sull’identità e dà voce ai giovani inuit del XXI secolo.

Vive a Nuuk, la capitale della Groenlandia, è giovane e ribelle, ha una ragazza che la ama e un futuro che l’attende in Danimarca, dove sta per iniziare l’università. Eppure si sente troppo grossa, troppo scura, troppo diversa dai compagni di studio, e mentre tutti a casa credono che stia spiccando il volo verso la desiderata libertà, lei sprofonda in un disagio che in realtà ha sempre avvertito, un senso di inadeguatezza e vertiginosa solitudine, un bisogno bruciante di amore unito a una paura di deludere e di donarsi con cui finisce per far male agli altri quanto a se stessa. Un malessere che da bambina la portava a nascondersi sul Monte Corvo, nella tana di uno «spirito della montagna», e che prende il sopravvento quando un lutto la conduce nella natura maestosa della Groenlandia orientale, fino a una valle di fiori di plastica, piena di croci anonime e dimenticate. Così finiscono i tanti giovani inuit che ogni anno si tolgono la vita, nel silenzio del sistema e delle loro stesse famiglie – un tabù di cui nessuno vuole parlare. Inesorabile come una bomba a orologeria, La Valle dei Fiori racconta in presa diretta, attraverso la voce cruda, fresca, ironica, ma sempre più concitata e furente della protagonista, il tracollo psicofisico di una ragazza che sente il mondo chiudersi su di lei finché non riesce più a stare nel proprio corpo. Un racconto di una schiettezza feroce che si fa potente poesia, urgente e autentico quanto difficile da dimenticare, un romanzo che va dritto al cuore dell’odierno dibattito sull’identità dando voce ai groenlandesi del XXI secolo, cresciuti in una società di matrice coloniale e smarriti ai margini dell’Occidente globalizzato.

La mia recensione

Libro tosto. Mi sono “bevuta” le prime 115 pagine (la prima parte) a una serata di lettura del Silent Book Genova e poi ho fatto una pausa perché ci sono alcuni elementi del tema che per me hanno un effetto triggerante… dirò solo che si vede quando chi scrive di depressione ci è passato. E fa dannatamente male. 

Mi chiedo come sia vivere vedendo la propria comunità annientarsi in maniera così inesorabile nel suicidio (la protagonista senza nome a un certo punto dice che della sua classe di liceo sono già tre o quattro a essersi tolti la vita), nell’indifferenza o nell’impotenza sociale e collettiva. La rabbia che si sente anche nel discorso di accettazione di uno dei più importanti premi letterari del mondo nordico – riportato da Iperborea a fine postfazione – è palpabile e comprensibile.

L’autrice – prima groenlandese a essere pubblicata in inglese e altre lingue sia con la sua opera prima nella sua lingua natia e poi con questo romanzo, uscito inizialmente in danese – utilizza la spirale discendente della protagonista per descrivere un contesto sociale in cui il suicidio, soprattutto di giovani, “succede”. Le famiglie sono lasciate sole e preferiscono concentrarsi sul bello che c’è stato, anche scegliendo di non vedere i problemi, i servizi non sono minimamente sufficienti. Chi tenta di morire e non ci riesce viene emarginato socialmente (tragico il caso del ragazzo che viene espulso dal suo studentato dopo un’overdose di pillole perché se lo rifacesse “turberebbe il custode”), assicurandosi dunque che ci riprovi fino al tentativo “fortunato”. 

È incredibile comunque come la prosa, per quando descriva un tema terribile, sappia essere energica, a tratti umoristica e surreale, in altri quasi lirica, raccontando l’amore per una terra che vuole l’indipendenza ma che non sa gestirla (i suicidi sono aumentati esponenzialmente da quando la Danimarca ha dato il via al processo di autonomia groenlandese), per un popolo che forse ha perso il contatto con le proprie radici culturali – la sorella che si tatua il viso in omaggio agli antenati, ma che non sa spiegare il significato del disegno scelto – e le difficoltà a sentirsi parte di un paese a quattro fusi orari e un oceano di distanza, senza tenere conto dell’abisso culturale. Una lettura intensa e dolorosa ma che consiglio sicuramente.

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